sabato 31 marzo 2012

Lapis

Stava lavorando nella sua stanza da anni, ormai erano diventati sei. Quello stanzone al piano terra della casa era diventato il suo laboratorio, un posto magico dove Faust passava gran parte dei suoi pomeriggi e delle sue lunghe notti insonni. L’ambiente era ampio, frammezzato da pilastri di legno, le finestre erano piccole e larghe, il soffitto troppo alto, e la luce fioca che entrava gettava manciate di ombre caotiche sul pavimaneto e sui muri. Al centro due lunghi tavoloni massicci coperti completamente da libri, contenitori di piccoli metalli, alambicchi ed ampolle di ogni forma. In fondo alla stanza, una minuscola postazione con un forno ricavato da un camino, una libreria zeppa di materiale chimico catalogato in contenitori di vetro.. e ancora tavoli e tavolini tempestati di fiale e provette in un valzer degno di un folle. Quello era lo studio di un alchimista, il posto per eccellenza dove le chimere della mente umana prendono vita. Ormai Faust sapeva tutto su quell'arte, aveva letto le opere di ogni maestro, compresi i cosiddetti libri nascosti e quelli eretici, aveva sperimentato la via umida, quella secca, e quella di mezzo;  studiato i simboli con estrema attenzione e trovato la chiave ad ogni enigma che gli si era presentato.  Ma ciò che gli dava un fremito d'orgoglio non era l'erudizione degli scritti, quanto piuttosto i suoi successi con i metalli. Si era scottato le mani in ogni punto possibile, con ogni sorta di metallo fuso e con ogni tipo di fiamma. Ora, in quel pomeriggio d’inizio autunno del 1920, contemplava il suo laboratorio guardando il nulla.. finalmente aveva finito.
Aveva infine compiuto la Grande Opera, aveva trovato quello che a tantissimi è negato, era riuscito a sciogliere i segreti ultimi della creazione. Ora quella stanza era più sacra di qualsiasi santuario, perchè su di un piccolo tavolo vicino al forno giaceva una pietra cristallina di colore rosso, la tanto bramata pietra filosofale. Faust fissava il vuoto con occhi sbarrati, seduto molle sulla sua sedia preferita; era quasi scandalizzato dal suo successo, ebbro della riuscita dell'impresa. Poi, fiaccamente, simile a chi si è ripreso da un immenso sforzo, si era spostato alla finestra per ammirare Parigi che si crogiolava nell'ennesimo crepuscolo; nonostante tutto era un piacere che lo rasserenava sempre. Pensava ai suoi tomi, alle illustrazioni dei vari leoni che mangiavano il sole, ai serpenti crocefissi su altrettante croci, ai grifoni che vegliano i giardini di rose bianche e rosse.. ora tutto quello non aveva più importanza, ora tutti quei simboli erano sciolti e condensati in una piccola, minuscola pietra dura. Solve et coagula.
Ciò che l'aveva attirato verso quell'arte era lo scopo reale dell'alchimia, molti pensano che sia la mera trasmutazione dei metalli e questo è un errore grossolano, quello è soltanto un effetto collaterale dell'uso della pietra filosofale. Il vero obiettivo è la sapienza per arrivare ad essa, il percorso, l'iter per arrivare alla meta. La Lapis Philosophorum è la materia pura da cui derivano tutte le altre per accomodamento, come recita un antico testo di Ermete il Trismegistro. Ritornare ad essa, ricrearla dalla materia grezza, è un processo sacro che conduce dal molto all'uno, significa imboccare una strada a ritroso nella creazone della materia dove la destinazione è Dio. La pietra stessa è la rappresentazione materiale di Dio. Faust lo sapeva, e la fissava con sguardo rapito; ecco spiegato il motivo del suo smisurato e sacrilego compiacimento. Ma ora era stanco, il suo corpo appesantito, la mente assonnata, si sarebbe presto ritirato a godere del meritato riposo, un sonno dolcissimo.
La luce del mattino del giorno dopo gli ricordò il suo appuntamento con fratello Gerard, un frate carmelitano, stimata persona e carissimo amico d'infanzia. Non riusciva a pensare a persona migliore a cui mostrare il suo segreto, Gerard faceva parte dei suoi ricordi più teneri fin da quando ne aveva memoria. Lentamente le poche ore che separavano il loro incontro si riempirono dei gesti quotidiani della mattina; anche se per la prima volta Faust non aveva alambicchi da controllare, nè fuoco del camino da ravvivare; a ben pensarci si sentiva come se fosse in vacanza per la prima volta dopo anni di febbricitante lavoro.  Sul tardo pomeriggio i pesanti battiporta del portone rintoccarono, e l'alchimista si affrettò ad accogliere l'amico con un sorriso semplice ma che tradiva la solennità e l'orgoglio del momento. Dopo i saluti, gli abbracci e le strette di mano  di rito, si erano accomodati, discutendo bonariamente del più e del meno, davanti ad un biccheire di Cabernet rosso sangue. La screziatura del colore faceva tornare alla mente di Faust i riflessi purpurei delle pietra, e mentre i suoi occhi erano assorti iniziò a spiegare all'amico il motivo della sua convocazione. Gerard sapeva del suo interesse e della sua passione per l'arte ermetica, ma come frate dell'ordine carmelitano era molto cauto sull'argomento. La posizione della chiesa non era chiara, storicamente caratterizzata da alti e bassi; prima con monaci alchimisti e poi con la condanna e la proibizione della pratica. Era pur vero che si era agli inizi del '900, tempo di cambiamenti e grandi rivoluzioni tecniche, ma l'achimia restava sempre un terreno pericoloso,  dove sacro e profano si intrecciano e danno spesso adito a risvolti non sempre graditi. Fu con questi pensieri in testa che il monaco ascoltò minuziosamente, con gli occhi ora socchiusi, ora sgrantai, il racconto dell'amico. Terminato il racconto Gerard era perplesso, voleva veder con i propri occhi un tale prodigio condensato in materia, voleva vedere com'era fatta la chiave della creazione e se essa potesse possedere anche solo un pallido riflesso del volto del creatore di ogni cosa. Faust non aspettava altro, lo condusse nel suo laboratorio, e sopra di un panno di seta nero gli mostrò il suo bene più grande. L'emozione lo vinse e gli si bagnarono gli occhi mentre il monaco esaminava con attenzione l'oggetto, stando ben attento a non toccarlo, dopotutto era un uomo di chiesa, sapeva con che rispetto trattare gli oggetti sacri. Poi lo guardò, il corpo abbandonato sulla sedia, sulla bocca un sorriso sincero "E ora cosa ci farai, mio buon Faust? immagino ti ritaglierai una posizione sicura con l'oro che produrrai, e scriverai un libro ermetico sulla strada che ti ha condotto sino a questo risultato. Ma ricorda che quello che hai prodotto è la materia principale di Nostro Signore, abbine il massimo rispetto nell'usarlo". Sapeva che era una raccomandazione superflua, ora l'amico era un sapiente, solo il fatto che fosse approdato a quei lidi testimoniava il suo buon senso.  Fuori il pomeriggio si stava lentamente sciogliendo in un vespro settembrino, le ombre si facevano più lunghe mentre il sole calante pennellava il cielo dei toni del giallo e del porpora. I raggi obliqui entravano facilmente dalle finestre rendendo il momento ancora più solenne. Lo sguardo dell'alchimista cambiò prima lentamente, poi radicalmente; si era fatto cupo, la testa bassa, gli occhi sfuggenti, come di chi sta per fare una confessione "Ho scoperto un'altra cosa Gerard, la sostanza può essere combinata"
"Non è possibile Faust, la pietra filosofale è la sublimazione di ogni cosa, la più pura e rarefatta essenza, come può essa combinarsi con qualcosa che le sia anche solo minimamente inferiore? è risaputo che mescolandola con qualsiasi materiale essa lo porta al suo massimo grado evolutivo,  oro o un suo corrispettivo. Come può essa legarsi con qualcosa, visto che ogni cosa al confronto le è vile?"
Faust taceva, poi lentamente parlò "dici il vero, la pietra è materia prima di ogni cosa e riflesso dell'essenza divina, tuttavia nei miei studi sono incorso in una singolarità... all'inizio non volevo crederci ma poi tutto ha acquistato senso..".
Alzò lo sguardo ed i suoi occhi erano spalancati, la bocca aperta in uno sgraziato sorriso, l'intera smorfia sembrava quella di un demonio a guarda delle cattedrali, o alternativamente di un pazzo che aveva compreso il valore della pazzia. "Sangue umano, Gerard.”
Il carmelitano ebbe un sussulto, ma si trattenne e fece cenno all’amico di continuare
“Qual'è stata l'opera più grande di Nostro Signore oltre alla creazione?" Il frate sapeva la risposta e questo lo turbò, gradualmente la sua pelle cominciò a divenire pallida. Faust continuò "l'essersi fatto carne, l'aver trasmutato la sua essenza divina in un corpo di pelle, ossa e sangue; essersi incarnato nel figlio dell'uomo. Pensa, l'infinito resosi manifesto nel corpo della creazione del sesto giorno! l'essenza divina riposta non in un una pietra rossa ma in questo sangue" Gerard lo fissava con sguardo torvo, la mascella serrata, i nervi tesi sulla pelle delle mani tradivano il suo nervosismo. Una leggera pioggia aveva preso a picchiettare sull'asfalto e sui vetri, attutendo i suoni del mondo esterno.
L'alchimista incalzò con gli occhi che gli brillavano per l'eccitazione: "combinando la pietra filosofale con il sangue umano si può ottenere una ricombinazione dell'essenza primaria, si può mescolare la sua parte divina con quella umana! Non capisci Gerard? si può ottenere il sacro tesoro di Dio incarnato nell'uomo! l'essenza divina fatta carne può essere sintetizzata!”
Per Gerard tutto ciò era ben oltre il suo grado di sopportazione ed esplose: "Questa è eresia! E' bestemmia Faust, e tu la sai!" Il frate era rosso di collera, le vene gli si gonfiavano ritmicamente pompando grandi dosi di sangue. "I tuoi esperimenti ti hanno fatto impazzire, non puoi parlare sul serio!"
"la maniera di combinarla esiste, la natura lo ha permesso.."
"La natura è soggetta a Dio! ci sono cose che l'uomo non può fare! non permetterò mai che questo esperimento veda la luce, non ti farò compiere una tale sacrilega blasfemia!”
Improvvisamente i due si trovavano ai ferri corti. Faust aveva sperato che l'amico potesse capire la grandiosità della sua opera, ma forse in cuor suo sapeva che era chiedere troppo ad un uomo di fede. Tuttavia  era veramente troppo fornire ai cercatori di Dio una scala per accorciare le distanze? Era così fuori dal mondo conseguire quello che loro hanno sempre desiderato? Erano stati questi pensieri a spronarlo a rivelare il suo segreto, e ora non intendeva, né poteva, tornare indietro. Abbassò gli occhi, come se provasse una passeggera vergogna "Veramente io Gerard... io l'ho già fatto.." ed estrasse una fiala da sotto la veste.
"ho combinato parte della pietra con mezza fiala del mio sangue.. le ho sciolte insieme fino ad ottenere questa tintura rossa. Sono al loro massimo grado di fusione, non si può ottenere di più" La voce del povero frate ora era debole, quasi supplichevole: "quindi questo è il risultato dell'abomino? Faust?"
"Si dice che chi ingerisca parte della pietra filosofale riceva la Lunga Vita e la guarigione da ogni male. Hai idea di cosa si possa ottenere assumendo questa tintura? Essa porta con sé la sapienza divina, con questa nessun segreto può più essere precluoso.. è la chiave finale per ogni mistero terreno e celeste, è la porta maestra per ogni comprensione. Finalmente un uomo potrà arrivare a comprendere la creazione nella sua totalità, e forse anche il piano divino; i pensieri dell'uomo che combaciano con i pensieri di Dio"
Lo sguardo dell’alchimista era rivolto al sole calante, la faccia contratta in un sorriso disumano, i battiti del cuore galoppanti, ogni secondo che passava recava il timore che potesse stappare la fiala e berne il contenuto. In quell’attimo entrambi tacevano e tutto sembrava sospeso, i pensieri di Gerard erano una tempesta, la sua coscienza sull’orlo di essere infranta, aveva provato a rivolgersi mentalmente a Dio ma sembrava che in quella stanza non ci fosse.
Perfino la pioggia aveva cessato di scendere in un lungo silenzioso momento. Poi riprese.. ora Gerard sapeva cosa fare. Doveva agire prima che l'amico decidesse di bere il risultato del suo peccato. Senza esitare, gli strappò la boccetta dalle mani; la faccia di Faust era ancora contratta dallo stupore quando su di essa calò pesante fermacarte di legno che teneva sulla sua scrivania. Un colpo, poi un altro, e un terzo; gli zampilli di sangue dello stesso colore della fiale  si erano levati alti ed avevano colorato il tavolo ed il saio del fratello. Così cadde Faust l’alchimista, senza il tempo di lamentarsi, né quello di godere della propria opera;  con la bocca semiaperta e gli occhi rotondi inchiodati sul assassino. 
Sul pavimento si stava allargando una macchia calda e rossa, il frate indietreggiò distrattamente fissando il sangue, la faccia ancora sconvolta e congestionata; grandi singhiozzi iniziarono a interrompere il silenzio, poi riempito da un pianto convulso.
Cadde goffamente nell’angolo della stanza, la veste intrisa di lacrime salate, mentre si teneva la testa fra le mani tremanti;  giacque in quello stato per dei lunghi minuti piangendo senza sosta.
Gli era chiara l’origine della sua disperazione ed essa non nasceva da ciò che aveva appena fatto, quanto piuttosto da ciò che stava per fare.
Con un gesto veloce prese la fiala e la bevve in un sorso.

2 commenti: