mercoledì 15 ottobre 2014

Vino e sangue

Quella notte per le strade di Milano si aggirava uno spettro, ed il suo nome era Lorenzo.
Strisciava lentamente i suoi stivali nella polvere e camminava ricurvo, chiuso nell’ampia cappa che gli incappucciava la testa.
Dalla cintola dondolava la spada, arma che aveva impugnato la sera prima con il timore di non poterlo fare mai più.
Strano periodo per vivere, quello. L’Italia del fine 1400 stava ormai diventando la culla della cultura umanista, per la prima volta l’uomo era visto come individuo e non come collettività, non più come servitore di Dio ma come servitore di sé stesso. In quel contesto trovava posto il fiorire della cultura, delle arti e delle scienze; e fra le scienze la guerra era una di quelle più esatte.
Lorenzo era un mercenario al soldo di una compagnia d'arme italiana, ingaggiata insieme ad altre dal ducato degli Sforza per difendere la città di Milano.
Il suo gruppo di armigeri non era molto grande, erano per lo più impiegati in azioni diversive ed assalti mirati alle linee nemiche, in questo genere di tattiche erano degli specialisti.
Tuttavia la sera prima era cambiato tutto. La compagnia di Lorenzo era stata incaricata della scorta di una decina di cannoni che doveva entrare a Milano, una missione non troppo rischiosa considerando l’assenza di forze nemiche nella zona, e poi comunque il lavoro è lavoro. Nessuno poteva immaginare che un’altra compagnia battente bandiera francese li stesse aspettando per un’imboscata. Nella sua mente echeggiavano ancora il fragore dei tuoni degli archibugi ed i lampi della polvere da sparo. Il fumo che invadeva la mulattiera di campagna che stavano attraversando, mentre la colonna di fanti italiani correva a disporsi a protezione dei pezzi d’artiglieria. Da ambo i lati della boscaglia circostante venivano le urla di guerra, seguite da ondate di soldati francesi… c’era veramente poco che si potesse fare di fronte ad una azione così ben congegnata. I ranghi dei mercenari si serravano in protezione del convoglio, le armi in asta venivano abbassate e si cercava in mezzo al tumulto di comporre uno schieramento. Per mezzora si oppose una tenace resistenza, per mezzora gli scudi avevano cozzato contro l’acciaio delle lame per poi infilare la carne e il sangue; ma il fuoco degli archibugi francesi era troppo insistente, e i soldati transalpini schierati in una formazione troppo letale, l’unica cosa che si poteva fare era cercare una morte gloriosa. Neppure quella era stata concessa a Lorenzo, ferito, caduto a terra e schiacciato al suolo dai fanti amici; l’unica maniera per uscirne vivo era fingersi morto.
Questi erano i ricordi che ancora gli affollavano le mente mentre camminava nel vespro milanese, consapevole che un mercenario senza una compagnia d’arme non è più niente. Tuttavia era vivo ed era dentro Milano, un luogo sicuro. E quella sera sarebbe stato accolto da un vecchio amico che gli avrebbe offerto perlomeno un pasto caldo ed un tetto. Per fortuna conosceva Adovardo, il più ricco mercante di vini di quella zona di Milano.
Ancora pochi passi ed ecco palesarsi il pesante portone della casa e dopo tre rintocchi ai batacchi eccolo schiudersi.
Adovardo era un uomo brizzolato sulla cinquantina, conoscente di vecchia data e grande amico, non impiegò molto a dar prova della sua ospitalità.
Abbracciò forte Lorenzo, e dopo essersi assicurato sul suo stato di salute lo invitò a prendere posto a tavola. Era a conoscenza di cosa avesse passato e di proposito evitò di farsi raccontare dell'esperienza della sera precedente, ora tutto quello che voleva era che mangiasse la sua zuppa e si rimettesse in sesto.
Il mercenario fra sè ringraziava che esistessero ancora amici del genere, e mentre la zuppa gli scaldava lo stomaco, il calore dell'amico gli riscaldava l'animo.
Iniziarono a discutere della minaccia di un assedio da parte dei francesi su Milano, e di come la vita nella città fosse cambiata, accorgendosi di come lo fossero anche le loro vite, dal loro precedente incontro.Il padrone di casa attese che il proprio ospite si fosse ristorato e poi lo invitò in cantina a bere una coppa di buon vino, come usavano fare da giovani, aggiungendo che si sarebbe unito a loro un altro ospite.
I due scesero lentamente le scale ed Adovardo aprì la pesante porta di legno di quercia. Il locale che si presentava era ricco di botti di pregevole vino di diverse annate, Lorenzo si chiedeva quanto il suo amico fosse diventato ricco per potersi permettere un simile tesoro.
La stanza era accogliente, con una lunga tavola massiccia al centro e delle panche ai lati, su una di esse li attendeva l'altro ospite.
Era un uomo vestito sobriamente, eppure nella sua semplicità esprimeva eleganza; lo sguardo era severo e gli occhi penetranti. Si presentarono stringendosi la mano ma non disse il suo nome.Lorenzo pensò che forse nell'attesa si fosse scolato così tanto vino da non riuscire più a parlare.
Adovardo spiegò che era un amico di famiglia, amico di suo padre e prima di lui di suo nonno.. una spiegazione che non reggeva, quanti anni poteva avere quest'uomo? Tuttavia Lorenzo non era propenso ad indagare, e accolse quella frase con un cenno del capo.
I due si sedettero ed iniziarono a bere un ottimo vino speziato, seguitando a discorrere fra di loro. Solo l'ospite senza nome taceva, li guardava con occhi seri e gustava lentamente la coppa di vino. Non era chiaro il suo ruolo, o meglio che razza d'amico fosse: probabilmente si trattava di un mercante con cui la famiglia di Adovardo aveva rapporti d'affari. Il mercenario ormai era rilassato, dimentico per il momento della crudezza della sera precedente, e nonostante stesse bevendo con un musone sconosciuto l'atmosfera era deliziosa.
Un momento piacevole interrotto troppo presto, dal piano di sopra giungevano voci e rumori troppo pesanti per la casa di un commerciante; seguiti dal suono di due paia di passi che scendevano le scale frettolosamente. La porta semichiusa della cantina si aprì di scatto e fecero l'ingresso due uomini, ben vestiti e con la spada sguainata.
"E' questa la maniera di entrare in casa di persone rispettabili? chi siete?" chiese Adovardo.
Gli fecero eco gli intrusi "sapete benissimo messere perchè siamo qui, consegnateci il vostro ospite e ce ne andremo anche subito"
Era corsa la voce su chi stesse ospitando.
L'uomo senza nome, si alzò e fece per andar loro incontro, ma Lorenzo, deciso a ricambiare l'ospitalità con la spada, era già in piedi intento a staccare uno scudo ornamentale dal muro. Una volta infilatolo al braccio estrasse la spada dal fodero e assunse una guardia di attacco nei confronti dei due.
"non so chi è lei, ma se ci minaccia non esiteremo ad attaccare"
E dopo un momento di attesa lo fecero. Si scagliarono insieme contro Lorenzo che li stava attendendo in posizione. L'esperienza d'arme maturata negli anni fece la differenza, si difendeva con la rotella dall'aggressore a sinistra, mentre parava con la lama della spada i colpi dell'altro. I due guadagnavano terreno e Lorenzo arretrava, l'ospite conteso osservava la scena con occhio fermo e severo. Fu l'intuizione di un attimo, ed il mercenario apriva la difesa di uno dei bruti e gli trapassava la spalla destra. L'altro attaccò per tre volte, prima che il suo polso finisse schiacciato fra il muro e lo scudo; di fronte ad una tale pressione la mano si apre e lascia cadere la spada lasciando il fante senza protezione. Lorenzo minacciava con la punta della lama l’avversario ferito, mentre quello disarmato indietreggiava indovinando con i piedi i gradini. La faccia del guerriero vincitore ora era distesa in un mezzo sorriso, aveva avuto la sua piccola rivincita dal disastro dalla sera precedente, aveva veramente bisogno di vincere di nuovo, di sentirsi un buon combattente.
In quel momento un fulmineo dolore gli lacerò il braccio destro. Girandosi vide lo sguardo severo dell’ospite e le sua mano sinistra serrata intorno ad un pugnale che gli strisciava il braccio. Quel bastardo l’aveva ferito a tradimento! Gli incursori ne approfittarono per fuggire, Lorenzo con uno scatto si era distanziato dall’uomo senza nome, aveva una gran voglia di sbatterlo al muro, ma si limitò alle parole
“siete ammattito stolto di un pazzo? È questa la maniera di ringraziare chi vi salva? O preferite che vi consegni ai vostri due amici?”
L’uomo si girò e si sedette al tavolo, fece scivolare il sangue dalla lama del coltello dentro la propria coppa di vino e per la prima volta parlò
“chiedo scusa messere, necessitavo del vostro sangue in quel preciso momento”
Adovardo si guardava intorno imbarazzato e pallido, come di chi sa un segreto, ne vuole parlare, ma non sa come iniziare.
D’un tratto per Lorenzo fu tutto chiaro
“Feccia della cristianità, bevitore di sangue! Ora vi vedo per quello che siete, vampiro! Quale tetro personaggio avete portato a maledire la vostra casa, Adovardo?
Li paga cari i vostri vini che gli rammentano il sapore del sangue?”
Adovardo era paonazzo
“No Lorenzo, siete in errore, non è quello che pensate”
“Ora capisco, quelle due povere guardie cittadine che ho battuto… erano venuti per consegnarlo ad un giusto tribunale! Sia maledetta la..”
“Sono un alchimista.”
Per la seconda volta aveva parlato lo strano figuro. Ora stava mesciando nella coppa il vino misto al sangue, per poi versarlo in un’ampolla.
“Chiedo perdono per i mie modi, ma mi serviva del sangue colto mentre era scaldato dal fuoco dell’impeto. Vi ripagherò la riparazione alla manica che ho lacerato. Per le ferite invece so che per voi mercenari sono un vanto”. E accennò per la prima volta un sorriso.
Ora Lorenzo era ancora più sconcertato. Si sentiva anche un po’ stupido con ancora le armi in mano, così le depose e si sedette al tavolo in silenzio. Prese la testa fra le mani ed arruffò i capelli, come se stesse cercando di rimettere ordine nei propri pensieri, poi guardò l’alchimista.
“Così siete un alchimista.. ed il mio sangue vi serviva per?..”
“Conosco la famiglia di Adovardo da tre generazioni, conoscevo suo padre, ed il padre di suo padre prima di lui. Su mia indicazione producono un tipo speciale di vino, che è il diluente essenziale per le mie sperimentazioni. D’altra parte è il liquido che nostro signore ha scelto come veicolo del proprio sangue”.
“Si ma perché il mio sangue?”
“Come ho già detto necessitavo di sangue colto nell’ardore della battaglia. Non era una cosa prevista, ma viste le circostanza ne ho profittato.”
“Siete un bel soggetto voi! ma lo scopo qual è?”
“L’ho già detto, sono un alchimista, e come tale non posso rivelare i miei segreti”
“Almeno ripagate il sangue rubato dicendomi il vostro nome”
“mi chiamo Edmond”
Ora era Adovardo a prendere la parola “Ora conoscete la natura del mio nobile ospite caro Lorenzo, e avete capito che i due aggressori di prima erano guardie cittadine che volevano consegnarlo all’autorità ecclesiastica. Purtroppo l’alchimia non è vista di buon occhio, nonostante i nuovi tempi che viviamo”
“E voi caro amico quanto rischiate per questo?”
“Oh, la mia famiglia è abbastanza influente per permettersi di queste cose, e poi con l’assedio francese alle porte il ducato ha cose più pressanti di cui tenere conto”
La pace era ristabilita all’interno della cantina, niente più aggressioni esterne né misteri fra commensali, era il caso di levare le coppe e unirsi in un brindisi notturno. D’un tratto si sentì un picchiettio sommesso provenire dal lucernario in fondo alla stanza. Edmond si alzò e si diresse con passo deciso verso la finestra basculante aprendola con un gesto della mano. Dall’altra parte un grosso corvo nero entrò in volo nello stanzone, compiendo due giri e poi appollaiandosi sulla spalla dell’alchimista.
“Sei tornato Muninn”, poi inclinò l’orecchio verso il becco del pennuto, come a volerne ascoltare il flebile respiro, ed il suo viso si fece corrugato.
“Il mio corvo è foriero di gravi nuove. Ha visto l’esercito francese prepararsi per l’assedio, vogliono attaccare questa notte stessa.”
I presenti ammutolirono. Lorenzo aveva sgranato gli occhi “Maledetti sono stati veloci come diavoli! Sappiamo che sono armati di pezzi d’artiglieria di nuova concezione. Per loro sarà facile aprire la breccia nelle vecchie mura di Milano”
Adovardo balbettava “Ma, ma… io qui ho una villa ed un’attività. Come farò?”
Gli rispose Edmond “La vita è sacra, pensa a salvaguardare quelle e quella dei tuoi cari. Ascoltatemi entrambi, l’esercito sarà alle porte quando la luna sarò alta. E’ abbastanza tempo per radunare quanto potete trasportare ed avvisare chi vi è caro. Partiremo insieme e lasceremo questa città”
Lorenzo guardò in basso, non aveva niente da portare con sé, né una persona cara da avvisare. L’alchimista sembrava indovinare i suoi pensieri “non ti crucciare, hai meno fardello da portare sulle spalle”. I tre bevvero l’ultimo sorso in silenzio.
La luna era alta e chiara sulla notte di Milano, ed un carro si stava incamminando silenzioso sul selciato. Sopra, Adovardo e la sua famiglia in grande apprensione, a piedi il mercenario e l’alchimista. Percorsero mestamente il cammino che li separava dalla porta ovest della città e la lasciarono senza guardarsi indietro. Il buon mercante aveva gli occhi lucidi e tratteneva a forza le lacrime, doveva essere da esempio per i suoi figli. Per la prima volta Edmond sembrò provare affetto “non preoccupartevi mio buon amico, a Firenze conosco molta gente. Lì la mia arte è tollerata, vedrete che saprete rimettervi in sesto e la vostra famiglia tornerà a produrre i migliori vini della città”, Adovardo apprezzò e gli pose la mano sulla spalla, singhiozzando.
Lorenzo lo guardò “anche il vostro fardello, alchimista, è bello leggero, neppure voi avete qualcuno da portare appresso” “Ti sbagli Lorenzo, non vedi quel cavallo marrone là in fondo e quell’uomo tremante che lo cavalca?”
Effettivamente c’era qualcuno in fondo all’oscurità, e si avvicinava intirizzito “Edmond, vi ho aspettato dove mi avete detto, ci stiamo dirigendo a Firenze quindi? Buonasera messeri io sarò vostro compagno lungo questo triste cammino, ma se c’è lui so già che ce la caveremo”
“Non ti preoccupare Leonardo, tu vivrai a lungo, il mondo ha bisogno di te più di quanto tu abbia bisogno di lui. Qui sei l’unico che non deve temere il proprio futuro”
“Sarà come dite, ma siano dannati i francesi se toccano la mia statua equestre! Ci ho lavorato anni solo per il prototipo, nessun uomo assennato leverebbe la mano contro l’arte, non ho forse ragione?” L’alchimista fece un profondo respiro e preferì tacere gli usi degli arcieri francesi.
La carovana si incamminava nel fitto cuore della notte, rischiarati solo da una grande luna d’argento; in lontananza il primo cannone aveva strappato il sonno ai milanesi.
Edmond iniziò a cantare una strana canzone, il testo non aveva nessun senso, ma stava calmando i nervi a tutti. Lorenzo pensava che quel pazzo di uno stregone ne sapeva una più del diavolo. L’alchimista si girò e gli sorrise, sapeva che i loro destini li avrebbero resi amici ancora per lunghi anni.

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